E’ in Libreria “Vacanze Milane – La città della cura, la cura della città”, terzo volume de Le Nuove meraviglie di Milano. Sognare una Milano con i Navigli a cielo aperto e riempirla di grattacieli senza nesso con la storia della città, vagheggiare una città a misura d’uomo identificata con la lentezza o la rarefazione del traffico sono aspetti, uguali e contrari, di un unico nodo irrisolto, che abbiamo identificato con il problema della cura. Della cura della città e della cura della singola persona, perché è nella cura della persona il termometro della cura della collettività, il problema culturale su cui si deciderà, negli anni a venire, l’identità milanese.
Prefazione di Giacomo Poretti, Introduzione di Luca Doninelli, Postfazione di Riccardo Bonacina, 28 racconti.
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Intervengono
Luogo: Sala Volta del Centro Congressi del Palazzo delle Stelline
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Riconoscere i segni dell’originalità che sta alla radice della città come fenomeno non solo storico ma anche antropologico è oggi più difficile. La crisi che il mondo sta attraversando è anche e soprattutto una crisi del patto sociale, una crisi della convivenza, una difficoltà profonda a rispondere alla domanda: cosa ci tiene insieme?
Sognare una Milano con i Navigli a cielo aperto e riempirla di grattacieli senza nesso con la storia della città, vagheggiare una città a misura d’uomo identificata con la lentezza o la rarefazione del traffico sono aspetti, uguali e contrari, di un unico nodo irrisolto, che abbiamo identificato con il problema della cura. Della cura della città e della cura della singola persona, perché è nella cura della persona il termometro della cura della collettività.
Siamo persuasi, e questo libro di racconti lo descrive, che questo sia il problema culturale su cui si deciderà, negli anni a venire, l’identità milanese.
Sono le “vacanze milane” in cui si imparerà cosa sia una metropoli dei nostri giorni per chi vi si trova all’improvviso e senza legami ma può scoprire il dono, non troppo nascosto, che la abita.
Dopo i successi di Milano è una cozza e Michetta addio, questo è il terzo volume della collana Le nuove meraviglie di Milano con i racconti dei narratori della Scuola di scrittura Flannery O’Connor e del Corso di Etnografia narrativa presso la Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano tenuti da Luca Doninelli, nell’ambito de “Le nuove meraviglie di Milano”, progetto del Centro Culturale di Milano di scrittura della città contemporanea.
da Curati Milano, Prefazione di Giacomo Poretti
Dopo aver letto con avida curiosità i racconti che seguiranno, introdotti con illuminata sapienza e da creative provocazioni di Luca Doninelli, lo stesso scrittore che ha incoraggiato, sostenuto, e tenuto per mano le storie a cui gli inediti autori stavano dando forma, mi sono detto che l’unico modo per prendermi cura di questo lavoro fosse quello di raccontarvi la storia di alcune morti.
I teatri preferiscono morire in estate, quando la gente va al mare o in montagna, e loro discreti, senza far rumore, al massimo con un’ultima triste….
da Luca Doninelli, Introduzione
… La domanda è: come stiamo trattando l’uomo? Che ne è dell’uomo nella nostra città?
Questo è il grande nodo – antropologico, culturale e sociale – intorno al quale si concentra il lavoro di quest’anno. Ecco il senso del sottotitolo del volume: Città della cura, cura della città. Siamo infatti persuasi che questo sia il problema culturale su cui si deciderà, negli anni a venire, l’identità milanese.
Cure
Perciò dedichiamo la prima parte del volume, la più corposa, ai temi del rapporto salute/malattia e nascita/morte. Com’è nella natura e nello stile del nostro gruppo, non abbiamo voluto sviluppare questo lavoro nei termini di un’inchiesta giornalistica, cercando piuttosto nel lavoro narrativo – senza perciò alcun bisogno di dimostrare questa o quella tesi – i segnali semplici, concreti di cui avevamo bisogno per sviluppare una migliore comprensione del problema.
Nel settembre del 2011 è mancato, dopo lunghi mesi di sofferenze, il mio più caro amico…
da Guarire le città con la gratuità, Postfazione di Riccardo Bonacina
… Lo diceva un grande teologo, Henri De Lubac, quando scriveva con formula folgorante: «E precisamente cosa c’è di più urgente di richiamare l’uomo a se stesso?». Non saranno le archistar e le loro architetture a cambiare in meglio le nostre città se non ci rimettiamo a tessere un’architettura propriamente umana, un tessuto quotidiano che non ci faccia paura. E neppure sarà la superfetazione di regole per metterci al riparo da tutte le minacce possibili, l’affermazione delle regole non si ottiene, infatti, con regole più puntuali, più rigorose e con minacce di sanzioni più dure.
Occorre far rispettare le regole, ma soprattutto bisogna lavorare perché la comunità riconosca l’importanza delle regole come sistema che consente lo sviluppo di una vera “polis”. Le regole bisogna volerle: gli inventori del diritto, delle norme, delle regole, i romani, ce lo hanno già insegnato “ubi societas, ibi ius”. Dove c’è comunità, si affermano e si consolidano le regole, altrimenti…
dal racconto “Parto” di Chiara Zamin
Amina era preoccupata. Mancava un mese al termine della sua gravidanza e ancora non aveva deciso in quale ospedale di Milano avrebbe dato alla luce il suo bimbo. Sognava di partorire in acqua, in mezzo alla natura, in un luogo incontaminato e silenzioso, con accanto soltanto la sua ostetrica. Li’ si’ che si sarebbe lasciata andare. Avrebbe potuto gridare all’infinito e il suo bimbo sarebbe uscito in fretta. Ne era certa. Si immaginava mentre teneva tra le braccia il suo esserino cullato teneramente dai suoni della natura. Da qualche parte del mondo era accaduto proprio cosi’. In Sudamerica una donna aveva dato alla luce il suo bambino circondata dai delfini nelle acque dell’oceano. L’aveva visto in un film documentario francese dal titolo “Il primo respiro” di Gilles De Maistre). Ma qui non c’era l’oceano. Qui, come nella maggior parte dei Paesi del mondo, si andava in ospedale. Nessun delfino avrebbe sguazzato intorno a lei. Dottori e infermieri l’avrebbero visitata e monitorata e al cambio di turno se ne sarebbero andati.
da “Padiglione 56” di Tatiana Piras
L’ospedale Sacco per me non era un posto estraneo, c’ero entrata innumerevoli volte, lo conoscevo quasi in ogni angolo. Entravo per fare affari, un business interessante per me, e quasi mi vergognavo che la vera ragione della mia visita non fosse la malattia di un amico o di un parente, o addirittura la mia. Ma anche se non fosse stato per questo, l’ospedale era per me era una realtà estranea, non c’ero mai stata, da ricoverata, intendo, mai una malattia, un problema. «Una bestia» diceva il mio fidanzato che invece di ospedali ne sapeva tanto, il Pini, Policlinico, Besta, Garbagnate, IEO e Villa Marelli. Io mai niente, mai un’influneza, mai la febbre. Mal volentieri andavo dentro gli ospedali per visitare parenti e amici, e davanti alla loro sofferenza o scappavo o diventavo dura come il marmo, come se quella realtà di sofferenza o precarietà riguardasse dei marziani. Persino mio padre che per anni è stato dentro e fuori IEO, non sembrava più una persona della famiglia, ma sembrava appartenere a una realtà diversa: la sofferenza a me fa quest’effetto.
da “Via Ghini” di Paola Caronni
Il fascio di erbe legato con il fazzoletto sporco sparpagliato sul lenzuolo ruvido e stralavato dell’ospedale si era aperto liberando anche una coccinella e un minuscolo coleottero, che aveva rotto il silenzio della stanza asettica con il suo ronzio stupefatto; le frange morbide di alcune spighe, i gambi legnosi e anche pungenti degli sterpi, le sileni pallide e idropiche con l’incolore calice a palloncino, i ranuncoli con i petali lucidi solo sul lato superiore, i fiori del trifoglio con la consistenza elastica di piccoli lampadari a tre dimensioni, viola come certe caramelle vetrose, e gli ombrelli bianchi, nevosi, fiori composti di minuscoli fiori, avevano ondeggiato ed erano crollati li per lei, già in vari stadi di sopravvivenza, alcuni già sofferenti per la mancanza d’acqua ma ancora tutti pieni di voci e sussurri silvestri. Alcune piantine erano state strappate con le radici, e trattenevano ancora delle minuscole zolle di terra scura che si sbriciolavano. La coccinella era rotolata verso il bordo, e faceva le sue prove di volo aprendo e richiudendo il suo guscio tondo; lei che era sua madre, con sotto gli occhi l’azzurro ipnotico dei fiordalisi, aveva capito l’augurio e l’invito che aveva voluto portarle con quella festa di odori, e le si era stretto il cuore, avendo già intuito da tempo che quel bambino vulnerabile e sorridente aveva bisogno di protezione più degli altri esseri umani.
Giacomo Poretti – La Stampa – 07/08/2012
A Milano i teatri preferiscono morire d’estate
Giacomo Poretti – Avvenire – 26/09/2012
Perché, Milano, fai morire i tuoi teatri?
Franco Molon – Tempi – 24/10/2012
La metropoli della gente